Quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa dovere

Belluno, parco comunale Città di Bologna: ultima tappa del trekking antifascista “Sulle strade del Pontevecchio”

Posted: Agosto 25th, 2020 | Author: | Filed under: News | Tags: , , , , , , | Commenti disabilitati su Belluno, parco comunale Città di Bologna: ultima tappa del trekking antifascista “Sulle strade del Pontevecchio”

Ingresso del parco comunale Città di Bologna

Di passaggio a Belluno, abbiamo fatto… l’ultima tappa del trekking antifascista “Sulle strade del Pontevecchio” nel parco comunale Città di Bologna dove una lapide ricorda i partigiani bolognesi morti sulle montagne bellunesi durante la Resistenza. Molti furono i ragazzi del Pontevecchio che parteciparono alla spedizione in Veneto durante l’inverno ’43-’44, di essi sette non fecero più ritorno.

Rimandiamo al resoconto del trekking per la lettura di alcune testimonianze di partigiani che hanno operato nel bellunese.

Qui invece vogliamo ricordare, con le parole annotate nel diario di Giorgio Vicchi, la morte di Flavio Tampieri (Ramarro) davanti alla cui casa di via Magini abbiamo sostato:

“Verso le 8.30 del mattino, mentre da poco svegli, ancora giacevano a riposare, venivano improvvisamente attaccati da una pattuglia di circa 30 tedeschi, i quali, intravistili, dalle fenditure della baracca urlavano loro il chi va là, iniziando contemporaneamente il fuoco da pochi metri. Il partigiano Righi [Duilio Astri], malgrado fosse scalzo, si buttava decisamente fuori impugnando la sua pistola automatica, e consigliando il compagno di fare preciso. Ma mentre il primo raggiungeva incolume, pur tra le raffiche, il bosco dopo aver sparato anche un colpo contro i nemici, il compagno Ramarro, forse meno deciso, veniva colpito da raffiche di mitra e ucciso. Il compagno Righi […] passati i tedeschi risaliva ancora alla baracca, che trovava bruciata. Davanti alla baracca vi era il cadavere del compagno, che i tedeschi avevano tentato di bruciare” [Giorgio Vicchi, Diario partigiano, 31 marzo 1944 – 24 giugno 1944, dattiloscritto, Archivio Istituto Ferruccio Parri, Bologna]

 

 


Dossier Bologna. I mandanti della strage – Intervista ad Antonella Beccaria

Posted: Luglio 28th, 2020 | Author: | Filed under: News | Tags: , , , , , | Commenti disabilitati su Dossier Bologna. I mandanti della strage – Intervista ad Antonella Beccaria

Nel 2020 saranno trascorsi quarant’anni dal 2 agosto 1980. Quel giorno, alle 10.25, esplode alla stazione di Bologna un ordigno di quasi 25 chilogrammi occultato in una valigia. La deflagrazione avviene nella sala d’aspetto di seconda classe un sabato mattina mentre la stazione è affollata di turisti italiani e stranieri, lavoratori e persone comuni che semplicemente sono in attesa di un treno. È un massacro, il più grave compiuto nell’Europa del dopoguerra fino a quel momento, con 85 persone che perdono la vita e 215 che restano ferite. Il libro ricostruisce quel momento cruciale della storia recente e rappresenta un viaggio nel tempo tra il prima e il dopo, scandagliando gli anni della strategia della tensione attraversati da terrorismo neofascista, tentativi di golpe, gruppi paramilitari, contatti con la criminalità organizzata e depistaggi. Il tutto calato in un contesto di scontro tra i blocchi che trasforma la guerra fredda in una guerra sporca che è proseguita, arrivando ad assumere nuove forme nella stagione stragista degli anni Novanta.

Abbiamo intervistato Antonella Beccaria, giornalista e saggista, autrice di numerosi libri sulla strategia della tensione

 “Dossier Bologna. 2 agosto i mandanti della strage” è il tuo libro uscito proprio in questi giorni. Cosa c’è di nuovo rispetto ai mandanti della strage della stazione di Bologna?

Il libro ricostruisce il prima e il dopo sui mandanti della strage del 2 agosto. Sulla figura di Paolo Bellini, per esempio, si racconta tutta l’inchiesta precedente, quella finita con un suo proscioglimento nel 1992. In tanti  negano che Bellini sia un estremista di destra, lo ha fatto lo stesso Bellini a lungo e poi ha smesso.  Invece Bellini ha un passato in Avanguardia Nazionale, la formazione di Delle Chiaie, che probabilmente, come lui sostiene, non lo conosce direttamente. Ma quegli ambienti, soprattutto quelli che ruotavano attorno a Massa Carrara, sono molto importanti per la formazione e la militanza  politica di Bellini, quelli di Massa Carrara e poi quelli di Parma. Parma è stato un centro aggregatore, soprattutto attraverso il suo ateneo, di elementi neofascisti italiani. Ripercorrendo  le immatricolazioni possiamo trovare elementi che arrivano dall’esperienza ordinovista, personaggi che ritroveremo nella strage di piazza della Loggia o in vicende come l’omicidio di Mariano Lupo, un militante di sinistra assassinato a Parma il 25 agosto 1972. Parma è un punto nevralgico.

Nel racconto che Bellini fa del 2 agosto 1980, in cui si costruisce un alibi, parte proprio dalla provincia di Parma, da Fidenza, dice di essere stato con il fratello Guido – che morirà di cancro nell’aprile 1982 continuando però a seguire quasi fino alla fine dei suoi giorni le vicende del fratello -, sostiene di essere arrivato a Rimini intorno alle nove del mattino e, insieme alla moglie, ai figli piccoli e alla nipote, figlia di Guido, di essere andato in vacanza al Tonale.
Di fatto esistono delle registrazioni  di Bellini, che a quel tempo usava il nome falso Roberto Da Silva, e della moglie, ma sono le ultime della giornata per cui sicuramente  non arrivano prima delle 19 al passo del Tonale.
La figura di Bellini ci apre poi uno squarcio molto interessante su un mondo particolare che era quello degli antiquari e più nello specifico degli antiquari italiani che vivevano a Londra. Ci sono personaggi a cui viene affittata casa, che ricevono aiuti o che sono in rapporti commerciali con soggetti come Hopkins, il primo datore di lavoro di Roberto Fiore, oggi leader di Forza Nuova, ai tempi uno dei leader di Terza Posizione fuoriuscito dall’Italia dopo la strage e dopo i mandati di cattura che vengono spiccati a fine dell’agosto 1980.

Nell’ambiente di questi antiquari londinesi c’è un personaggio che si chiama Marco Ceruti, un altro italiano, fiorentino, che dichiara di avere un ristorante molto noto, ma quando verranno fatte le verifiche in commissione P2 non risulteranno documenti che ne attestino la titolarità. Marco Ceruti incontrava l’allora vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura di cui sosteneva di essere amico, ma soprattutto è l’intestatario di un paio di conti correnti a cui affluiscono i soldi tracciati nel “conto Bologna”, così chiamato perché sono i foglietti  trovati tra la valigetta e le tasche degli indumenti di Licio Gelli quando viene arrestato nel settembre 1982 a Ginevra mentre sta per entrare nella filiale locale della banca UBS. Tra quelli che ha fisicamente addosso c’è il cosiddetto “documento Bologna”, che ha un’intestazione su cui c’è scritto proprio “Bologna” seguito da un numero di conto corrente. Il “documento Bologna” è sostanzialmente una contabile in parte manoscritta che dà una serie di riferimenti a movimentazioni bancarie che conducono come destinazione finale a beneficiari che nel 1980 erano sicuramente misteriosi. Abbiamo per esempio Dif Milano, Zaf Zafferano (Federico Umberto D’Amato), Artic. Tedeschi. Questo documento, che negli anni 80  non verrà mai trasmesso alla Procura della Repubblica di Bologna, verrà acquisito agli atti per il crac del Banco Ambrosiano. In base all’interpolazione con una serie di documenti trovati a Castiglion Fibocchi nella famosa perquisizione del 17 marzo 1981  presso  la sede dell’azienda di Licio Gelli, La Giole , dove vengono trovate le liste degli iscritti alla P2, ricostruiamo tutta una serie di movimenti bancari per una decina di milioni di dollari in parte affluiti sui conti di Marco Ceruti, definito un factotum di Licio Gelli. Nell’ipotesi attuale della Procura generale di Bologna quelli sarebbero i soldi della strage, con cui la si prepara e poi svengono saldate le competenze di chi ha agito materialmente. Sono movimenti bancari che raccontano una storia che parte nel febbraio del 1979 e arriva agli inizi di marzo 1981, un po’ prima rispetto alla perquisizione che porta alla scoperta della P2. Questo di per sé è già interessante: c’è un filo conduttore.

Il libro in qualche modo, quasi capitolo dopo capitolo, passa il testimone, con un personaggio che lo porta a un altro, che lo porta a un altro, che lo porta a un altro… Ne viene fuori una grande rete, che dovrà essere integrata in base alle indagini della Procura generale e agli eventuali processi che si dovessero celebrare. Si tratta di una rete che comprende una manovalanza neofascista di rango più o meno elevato e uomini dei servizi segreti. Tanto si è parlato del SISMI, che ha depistato – e ci sono delle condanne passate in giudicato per i depistaggi e in particolare per l’operazione “Terrore sui treni” – ma anche il SISDE ha un ruolo molto pesante che farà ipotizzare che un delitto eccellente nel mondo del neofascismo italiano di quegli anni, l’omicidio di Francesco Mangiameli avvenuto il 9 settembre 1980, sia stato, non dico deciso e voluto, ma in qualche modo favorito da determinate pratiche e attività messe in atto materialmente da un ufficiale condannato allora in primo grado a cinque anni e poi assolto in via definitiva per le attività cospirative della Rosa dei Venti, uno degli eventi golpisti che hanno caratterizzato questo paese.

Le cose che dici mi fanno venire in mente prima di tutto una considerazione e poi un’altra domanda. La considerazione è quanto è centrale Londra nella storia del neofascismo italiano dagli anni 70 fino a oggi,  come ci ha raccontato Andrea Palladino nella intervista che ci ha rilasciato a proposito del Virus Nero. Londra è un po’ un trait d’union dove i neofascisti si sono trovati sempre abbastanza bene, abbastanza a casa…

Sì, sicuramente è un vivaio molto importante, per quello che ho potuto appurare io ci sono queste connivenze strane. Nel libro ho intervistato Carlo Calvi, il figlio di Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano, è certo – e nel libro sono riportati i termini  molto chiari – che determinati personaggi legati alla strage di Bologna siano passati da Londra e appunto dagli ambienti che facevano riferimento agli antiquari di cui parlavo prima. Nel libro racconto di un omicidio che avviene nel settembre 1982, due anni abbondanti dopo la strage e circa a tre mesi dalla morte di Roberto Calvi, trovato impiccato sotto il ponte dei Frati Neri la mattina del 18 giugno 1982, un delitto a lungo fatto passare come un suicidio, di fatto oggi possiamo dire che si è trattato di un suicidio simulato, Calvi è stato prima strangolato e poi appeso a quel ponte. Ecco, tre mesi circa dopo quel delitto nell’ambiente degli antiquari londinesi avviene un omicidio assolutamente efferato nelle modalità, con un dispiego di violenza che lascia allibiti anche in confronto ai delitti consumati nel mondo della criminalità organizzata.
Viene assassinato questo antiquario italiano, Sergio Vaccari, e Carlo Calvi nel corso dell’intervista che mi ha rilasciato, ma che aveva anche già detto in altre sedi e in un memoriale inviato alla Procura generale di Bologna, dice che Vaccari nelle ultime settimane di vita era spaventato perché aveva saputo che nel loro ambiente circolavano persone coinvolte con la strage di Bologna. Noi non sappiamo i nomi di queste persone, ma è molto probabile che il mondo del neofascismo londinese che accoglieva i latitanti italiani sia stato attraversato da persone coinvolte nel massacro del 1980.

… che accoglieva e che accoglie tuttora perché Roberto Fiore si ritrova a Londra e dice chiedete a Dio come ho fatto ad arrivare fino qua e a essere intoccato.
L’altra domanda che ti volevo fare invece è sui documenti che riguardano Licio Gelli, usciti recentemente su L’Espresso online il 23 luglio. Cosa ci puoi dire di quei documenti, che idea ti sei fatta, cosa ci dicono?

I documenti pubblicati online sono il “documento Bologna” di cui abbiamo parlato prima. C’è anche un documento ritrovato a Castiglion Fibocchi, interessante perché Gelli lascia un appunto a una sua collaboratrice di dare un acconto a un personaggio che si sarebbe presentato. Gelli parla di piccolo acconto, la cifra complessiva sono cinque milioni di dollari, in questo acconto scrive mille. In realtà l’ipotesi più probabile, per quanto lo chiami piccolo acconto, è che si tratti di un milione di dollari. Dà anche una descrizione piuttosto suggestiva di chi è questa persona che lui definisce un “cap.“, in ipotesi un capitano, quindi una persona appartenente al mondo militare, ma non ne abbiamo certezza. Lo definisce piccolo, biondo, con origini e accento meridionale, con il naso grosso e con una cicatrice vistosa che gli deturpa la faccia. Per un attimo è sembrato che potesse richiamare un personaggio che agli annali delle cronache giornalistiche e giudiziarie in Italia è stato chiamato “Faccia da mostro”, Giovanni Aiello, ex poliziotto poi probabilmente reclutato nei servizi segreti il cui nome – per quanto in vita non sia mai stato condannato – è legato alle stragi del 92 e del 93, al delitto di Nino Agostino, il poliziotto ucciso il 5 agosto 1989 insieme alla moglie Ida Castelluccio e all’omicidio di Claudio Domino, un bambino siciliano. Di fatto la descrizione che Gelli dà alla sua referente svizzera riporta una cicatrice sulla parte del volto sbagliata rispetto a dove Aiello era deturpato. Andando ad analizzare è improbabile che “Faccia da mostro” sia anche colui che va a riscuotere il denaro in Svizzera, rimane la particolarità molto importante. La referente svizzera interrogata per rogatoria dai magistrati della Procura generale di Bologna non ha riconosciuto Aiello tra le fotografie che le vengono mostrate.

Dopo tutto quello di cui ti sei occupata nell’ambito della strategia della tensione, che idea ti sei fatta di questo 2 agosto “strano”, sarà la prima volta in quarant’anni in cui non ci sarà il corteo.

E’ molto triste, come lo è stato per l’anniversario di Brescia il 28 maggio, erano 46 anni. Sta di fatto che la cosa positiva è che l’attivismo su Brescia di Manlio Milani e su Bologna di Paolo Bolognesi tiene molto viva la memoria e la partecipazione delle istituzioni, penso in primis alla Regione Emilia-Romagna, e ha consentito di creare online, sia attraverso siti dedicati che sui social, una presenza pluriquotidiana per cui chi è sensibile a certi argomenti si trova tutti i giorni, più volte al giorno, post che ricordano la strage di Bologna. E’ un  momento strano anche perché è un momento pieno di attesa questo, paradossale dopo quarant’anni, perché l’autunno, se non dovessero esserci nuovi lockdown e il blocco delle attività giudiziarie non strettamente urgenti,  potrebbe portare a discutere e a celebrare l’udienza preliminare a carico di Bellini e degli altri tre per i quali la Procura generale ha richiesto il rinvio a giudizio. Nel caso il GUP di Bologna rilevi la possibilità che queste persone vengano processate il 2021 si potrà aprire con il nuovo processo. Da un lato abbiamo la tristezza, anche se forse è il termine sbagliato, lo sbigottimento verso le modalità di celebrazione dell’anniversario della strage, dall’altro abbiamo una forte speranza che si possano in sede giudiziaria ottenere delle nuove verità che si aggiungono a tutto quello che sappiamo, perché tutto quello che sta accadendo in questo periodo non è in contrasto con le condanne definitive a carico dei NAR, la condanna in primo grado al quarto uomo dei NAR e le condanne di Gelli, Pazienza e dei due dei servizi, Belmonte e Musumeci, già condannati per i depistaggi.

Un’ultima domanda: cosa è uscito dal processo a carico di Gilberto Cavallini che si è chiuso all’inizio di quest’anno?

Per il processo Cavallini attendevamo le motivazioni entro il 9 luglio, poi c’è stata una proroga determinata dall’emergenza sanitaria, per cui arriveranno a inizio settembre e lì si potrà veramente fare un punto sulle responsabilità attribuite a Cavallini. Non è un giudizio definitivo, è un giudizio di primo grado, ma già si potranno trarre delle conclusioni. Secondo me al di là degli elementi che hanno pesato sul condannare all’ergastolo Cavallini c’è un dato importante: il ruolo irrinunciabile di Ordine Nuovo. Non siamo di fronte a una strage commessa dal cosiddetto spontaneismo armato, cioè persone di dieci quindici anni più giovani rispetto alla precedente generazione stragista, mi riferisco a quelli di piazza Fontana e di piazza della Loggia, ma è emerso un elemento importante. Il presidente della Corte d’Assise Michele Leoni ha disposto una nuova perizia esplosivistica che ha dato un elemento in più. Quell’esplosivo era di derivazione militare americana, comunque utilizzato dagli Alleati durante il secondo conflitto bellico e veniva ripescato nei laghi del Nord Italia. Questa è una pratica di Ordine Nuovo. Se andiamo a guardare le carte di piazza Fontana numerosi sono gli episodi di ripescaggio di esplosivo non solo dai laghi, ma anche dall’alto Adriatico, per cui la strage di Bologna non è una strage NAR.  I NAR sono stati la manovalanza,  ma dietro c’era un’organizzazione come quella di Ordine Nuovo che per quanto disciolto a fine del 1973 continuava ad operare sotto altre sigle e sotto altri ombrelli e che torna prepotentemente anche come ombra sulla strage di Bologna.


1974 – L’anno delle bombe

Posted: Luglio 27th, 2020 | Author: | Filed under: News | Tags: , , , , , , , , | Commenti disabilitati su 1974 – L’anno delle bombe

Il 1974 è l’anno in cui il Freccianera 50-40, partito il 12 dicembre 1969 da Milano – piazza Fontana – per arrivare alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980,  è corso in lungo e in largo per il paese seminando terrore e morte.

Prima tappa in Abruzzo, a Silvi Marina in provincia di Pescara: otto chilogrammi di gelignite collocati sui binari della linea Adriatica, erano le 2.35 del 29 gennaio, pochi minuti prima del passaggio del treno Milano-Bari. Un ordigno potentissimo che avrebbe provocato una strage se non fosse che gli attentatori non avevano previsto il sopraggiungere, sul binario di fianco, di un treno merci proveniente da Sud che troncò le micce stese sul binario isolando e rendendo innocui i detonatori. Un giovane neofascista di Ascoli rivelerà in seguito che l’attentato era stato pensato e messo in atto da una cellula ascolana legata a Ordine Nuovo e ai milanesi di Ordine Nero.

Tre mesi dopo, alle 8.44 del 21 aprile, a Vaiano, una località lungo la linea ferroviaria Bologna-Firenze esplose una bomba provocando un cratere profondo ottanta centimetri e distruggendo un pezzo di rotaia: tre minuti dopo sarebbe passato il treno Palatino proveniente da Parigi e sarebbe stata una strage. Anche qui però gli attentatori non avevano previsto tutto, ignorando il fatto che era in funzione un sistema d’allarme che faceva scattare il blocco automatico di tutta la circolazione nel caso di interruzione del binario. Il Palatino si fermò in tempo. In seguito il neofascista Andrea Brogi che aveva partecipato all’esecuzione dell’attentato ammise che a pensarlo fu la cellula aretina di Ordine Nuovo, foraggiata  coi finanziamenti del “venerabile” Licio Gelli, che non venne mai condannato perché la Svizzera, dove era fuggito dopo lo scandalo della P2, non ne concesse l’estradizione.

Venne poi il 28 maggio. Abbiamo già ricordato l’arrivo puntuale del Freccianera piazza della Loggia a Brescia durante la manifestazione sindacale antifascista.

Dopo le due stragi mancate per fortunate coincidenze o imperizia degli attentatori, il 4 agosto fu ancora la linea ferroviaria a essere teatro di un attentato di matrice ordinovista:  una bomba collocata sulla carrozza n. 5 del treno espresso Italicus Roma-Monaco in viaggio nella notte da Firenze verso Bologna esplose a cinquanta metri dalla fine della lunga galleria di San Benedetto Val di Sambro provocando la morte di dodici persone e il ferimento di altre quarantaquattro. La carrozza prese fuoco, ma il treno riuscì per forza d’inerzia ad arrivare alla stazione di San Benedetto Val di Sambro. Non fu possibile stabilire se il timer dell’ordigno fosse stato regolato perché l’esplosione avvenisse in galleria o alla stazione di Bologna dove il treno sarebbe arrivato pochi minuti dopo. Il gruppo neofascista Ordine Nero, filiazione diretta del gruppo milanese La Fenice controllato da Ordine Nuovo, rivendicò l’attentato.

Le indagini, come sempre è accaduto, furono viziate fin dall’inizio da depistaggi e dall’apposizione del segreto di stato. L’inchiesta si concentrò sulla destra extraparlamentare aretina e il 31 luglio 1980, due giorni prima della strage di Bologna, vennero rinviati a giudizio Mario Tuti, Luciano Franci e Pietro Malentacchi quali esecutori materiali dell’attentato sulla base delle dichiarazioni rese da un teste. Il primo processo si concluse nel 1983 con l’assoluzione dei tre imputati per insufficienza di prove. Quattro anni dopo la sentenza d’appello rigettò le assoluzioni e condannò all’ergastolo Mario Tuti e Luciano Franci. Ma nel 1989, la prima sezione della Cassazione presieduta da Corrado Carnevale, il famoso giudice Ammazzasentenze, annullò la condanne.

E il secondo giudizio di appello nel 1992 assolse tutti.  I colpevoli della strage dell’Italicus non hanno ancora un nome, né tra i mandanti, né tra gli esecutori. Rimangono solo le parole della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2, riprese dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi: “(…) la strage dell’Italicus è ascrivibile ad una organizzazione terroristica di ispirazione neofascista o neonazista operante in Toscana; che la Loggia P2 svolse opera di istigazione agli attentati e di finanziamento nei confronti dei gruppi della destra extraparlamentare toscana; che la Loggia P2 è quindi gravemente coinvolta nella strage dell’Italicus e può ritenersene anzi addirittura responsabile in termini non giudiziari ma storico-politici, quale essenziale retroterra economico, organizzativo e morale”.

Tra le dodici vittime della strage dell’Italicus ci fu il ferroviere Silver Sirotti, controllore in servizio sul treno che, non trovandosi sulla carrozza esplosa, rimase illeso,  ma anziché mettersi in salvo sfidò l’inferno di fuoco per cercare di salvare qualcuno dei passeggeri rimasti intrappolati a bordo, trovando a sua volta la morte avvolto dalle fiamme.

Silver Sirotti

Qui (al minuto 55) potete ascoltare la testimonianza del fratello Franco, nel suo intervento durante il reading promosso il 2 agosto 2017.


Un attimo quarant’anni

Posted: Luglio 23rd, 2020 | Author: | Filed under: News | Tags: , , , , , , | Commenti disabilitati su Un attimo quarant’anni

Un attimo quarant’anni. Vite e storie della strage alla stazione di Bologna
di Daniele Biacchessi (Jaca Book, 2020)

Una stazione d’agosto. Il caldo non dà tregua, la confusione sotto le pensiline, gente in fila per un biglietto, qualcuno perde il treno, altri aspettano figli, nipoti, nonni, madri, parenti lontani. Arrivi e partenze, sogni e speranze, voglia di mare e riposo. Nulla è diverso intorno alle 10,25 del 2 agosto 1980, a Bologna. Nella sala d’aspetto di seconda classe c’è chi legge quotidiani, chi fuma una sigaretta. Storie di gente comune, di vita quotidiana. Volti, occhi, mani, sguardi, discorsi. Accade quarant’anni fa alla stazione di Bologna, prima che qualcosa la trasformi in una grande catasta di macerie di dolore, di orrore, di morte. 85 morti, oltre 200 feriti. Questo libro parla di vittime e si rivolge al grande pubblico, specie ai più giovani. Quello che leggerete è il percorso individuale e collettivo di uomini e donne. Il loro privato dolente e la rabbia si sono tradotti in impegno civile: un modello di partecipazione democratica che difende persone colpite negli affetti, altrimenti lasciate sole al loro destino. Chiedono solo la verità, vogliono che ai loro morti venga resa giustizia.

Abbiamo chiesto a Daniele Biacchessi, autore di altri due libri sulla strage alla stazione di Bologna, cosa lo ha spinto a scrivere ancora sulla bomba del 2 agosto.

“Con 10,25 cronaca di una strage (Gamberetti, 2000) ho messo su carta gli appunti dei servizi radiofonici che iniziai ad inviare dalla tarda mattina del 2 agosto 1980. Un libro fondamentale per la mia lunga storia letteraria perché  introducevo alle basi di cronaca tratti sempre più marcati di narrazione. Erano le storie che attraversavano la grande Storia.

Nel 2001 Pendragon pubblica  Un attimo vent’anni , la prima storia dell’associazione 2 agosto fondata da Torquato Secci e mandata avanti da Paolo Bolognesi. Un lavoro enorme, basato sulle migliaia di carte spesso inedite, messe a disposizione dall’associazione. Diciamo un racconto dall’interno del dolore diventato rabbia, consapevolezza, impegno civile, ricerca della verità e giustizia.
Mancavano vent’anni ed ecco arrivati al terzo libro.

Una cavalcata di discorsi pubblici nelle piazze, di ricordi tristi, di gravissimi depistaggi da parte di funzionari infedeli dello Stato, trame di faccendieri e di criminali.

E la storia dell’associazione 2 agosto giunta fino a noi.

Oggi verità e giustizia non sono lontane. Il quadro è chiarissimo per chi lo vuole vedere. La loggia massonica P2 non era stata scoperta nell’agosto 1980 ed era potente: vertici di Gdf, polizia, carabinieri, servizi di sicurezza, politici, imprenditori.

La bomba viene piazzata a Bologna per mettere paura, spegnere le luci delle case, portare indietro l’orologio della Storia.

L’esito giudiziario e le verità emerse offrono uno spaccato di cosa è  stata l’Italia colpita dalla strategia della tensione da Piazza Fontana alla stazione di Bologna. Una guerra di vasta intensità combattuta con i civili presi in ostaggio da criminali. Ma non ci sono riusciti. Ci hanno sconfitto, ma ora sappiamo chi sono.”


50-40 Freccianera. Da piazza Fontana alla stazione di Bologna: la stagione delle stragi di stato

Posted: Giugno 29th, 2020 | Author: | Filed under: News | Tags: , , , , , , , | Commenti disabilitati su 50-40 Freccianera. Da piazza Fontana alla stazione di Bologna: la stagione delle stragi di stato

Riportiamo un nostro articolo pubblicato sul numero di giugno della rivista Malamente (https://malamente.info/)

Il 12 dicembre 1969, 50 anni orsono, la bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana apriva una stagione di attentati di mano fascista, che culminava il 2 agosto 1980 con la strage della Stazione di Bologna di cui ricorre quest’anno il quarantennale. Un disegno stragista che ha attraversato l’intero paese fermando le lotte di studenti e operai, progettato per seminare disordine e terrore ed evocare sbocchi di tipo autoritario il cui principale attore fu lo Stato: mandante delle stragi, autore dei depistaggi, responsabile degli insabbiamenti della verità.

A Bologna abbiamo cercato di costruire un percorso  per ripercorrere, attraverso iniziative di approfondimento,  la narrazione di quel decennio per sottrarlo alla vuota retorica, alle falsificazioni, all’oblio, nella consapevolezza che le trame neofasciste e neonaziste non mancano ancora oggi di trovare appoggi per inquinare pericolosamente la vita del paese. Abbiamo chiamato questo percorso  50-40 Freccianera mettendo insieme i due anniversari, i 50 anni da Piazza Fontana e i 40 dal massacro della stazione di Bologna e richiamando le bombe sui treni che hanno punteggiato il periodo 1969-1984, dai primi attentati ferroviari dell’estate 1969 (voluti per preparare il terreno e aprire la strada a Piazza Fontana) alla strage del rapido 904 in località S. Benedetto Val di Sambro del 1984.

Di fronte a verità emerse sul piano storico, ma mai fino in fondo sancite su quello giudiziario, si pone la necessità di riannodare i fili della memoria per far capire, specie ai più giovani, cosa accadde davvero e quale eredità quelle vicende consegnino al presente.

Sulla bomba che esplose alle 16.37 del 12 dicembre 1969 stroncando la vita a 17 persone e lacerandola ad altre 88 conosciamo quasi tutto, ma le prove che avrebbero dovuto inchiodare i responsabili sono arrivate sempre dopo le sentenze delle decine di processi che si sono svolti e nessuno mai ha pagato il conto.

Non l’hanno fatto i neofascisti di Ordine Nuovo  e Avanguardia Nazionale Freda, Ventura, Maggi, Zorzi, Digilio… ideatori e sviluppatori del programma stragista per dare una svolta in senso autoritario alla vita politica del paese per un lunghissimo decennio, agito in simbiosi con una rete di neofascismo internazionale e con gli apparati dei servizi segreti italiani e internazionali, con in prima fila quelli americani.

Non l’ha fatto Umberto Federico D’Amato, piduista, capo dell’Ufficio Affari Riservati del Viminale, organizzatore della strage di piazza Fontana, elemento centrale dei servizi segreti italiani nella stagione delle stragi, da quella del 12 dicembre 1969 a quella del 2 agosto 1980, delle quali figura tra i principali mandanti e responsabili e sul cui curriculum vale la pena spendere due parole perché esemplare di come la strategia delle stragi sia stata concepita e realizzata dai vertici dei servizi segreti a disposizione dello Stato.

Umberto Federico D’Amato

Nato a Marsiglia nel 1919, figlio di un collaboratore dell’Ovra, D’Amato entra in servizio al Ministero dell’interno il 1 agosto 1943. Nel 1944 convince i principali esponenti della polizia segreta fascista e della Repubblica di Salò a cambiare bandiera, legandosi all’Oos (poi Cia) guidata da James Angleton, portando a termine, tra l’altro, il salvataggio di Junio Valerio Borghese, l’uomo militarmente più potente della Repubblica di Salò e capo della X Mas.

Capo dell’Ufficio politico della questura di Roma dal 1950, dal 1960 D’Amato passa all’Ufficio affari riservati del Ministero dell’interno, di cui assume la vicedirezione nel 1969 e la direzione nel 1971. L’Ufficio affari riservati nasce nel 1948 sulle ceneri della vecchia Divisione affari generali e riservati che operava sotto il fascismo per coordinare le attività delle questure; sotto Tambroni diventa una polizia parallela al servizio del Ministero degli interni. Nel 1963 Paolo Emilio Taviani, principale referente politico di Gladio e Stay Behind, ne avvia la ristrutturazione, aumentandone le funzioni e le competenze. D’Amato ha il compito di coordinare le squadre periferiche che sono attive in diverse città italiane e che gestiscono informatori disseminati in varie formazioni politiche (movimenti extraparlamentari compresi) e giornalistiche. È lui, da quegli anni, il cardine e il capo di quello che diventa un vero e proprio Ufficio stragi, sciolto ufficialmente nel 1974 dal ministro Taviani, dopo la strage di Piazza della Loggia a Brescia.

D’Amato, grazie ai buoni rapporti con i vertici della Cia, nel frattempo è diventato anche capo delle delegazione italiana presso il Comitato di sicurezza della Nato (una struttura che riunisce i principali servizi di sicurezza dei paesi Nato) e nel 1965 è tra i fondatori di un organismo informale, poi denominato Club di Berna, che coordina le polizie europee, col risultato che egli è il maggiore referente sia dei servizi di informazione o sicurezza più o meno segreti sia delle informative e delle attività delle forze di polizia.

Dopo lo scioglimento dell’Ufficio nel 1974, D’Amato è trasferito alla direzione della polizia stradale, ferroviaria, postale e di frontiera, continuando a svolgere attività di intelligence. Iscritto alla loggia P2 con tessera n. 1643, appartiene al gruppo centrale della loggia raggiungendo il grado terzo (“maestro”). Collocato in pensione nel 1984, continua la sua collaborazione col mondo giornalistico (tiene una rubrica di gastronomia per L’espresso), per morire a 77 anni il 1 agosto 1996.

Umberto Federico D’Amato ha avuto uno smisurato potere grazie anche ai suoi rapporti con la Cia e con i servizi europei, con i capi dei vari servizi di informazione italiani, militari e non, con fascisti e golpisti di ogni risma. La sua posizione economica, depositata in banche svizzere e francesi, è definita da Licio Gelli “rilevantissima” ed è sostenuta da versamenti americani.

Al pari di D’Amato, non hanno mai pagato il conto gli uomini del Sid, il Servizio Informazioni della difesa, a cominciare dal generale Gianadelio Maletti, fuggito in Sudafrica, a Guido Giannettini e Vito Miceli, che, con la collaborazione dell’esercito e dell’Arma dei Carabinieri, ebbero piena conoscenza di quanto stava succedendo e si diedero da fare per depistare le indagini e proteggere i responsabili.

Da piazza Fontana alla stazione di Bologna le indagini della magistratura si sono sempre scontrate contro qualcuno che alterava, affermava il falso, negava il vero o taceva. I servizi segreti, che “deviati” non erano, hanno agito come una vera e propria agenzia di depistaggio delle indagini giudiziarie rispetto a tutta la stagione delle bombe.  Il filo nero dei depistaggi è ben tracciato nel libro Depistaggi. Da piazza Fontana alla Stazione di Bologna (Castelvecchi 2018), di cui abbiamo incontrato alcuni autori nel corso di una serata in cui è emerso chiaramente come la pratica del depistaggio e della menzogna all’interno degli organismi dello Stato ha funzionato – e continua a funzionare – per condizionare l’esito delle indagini e fornire false ricostruzioni.

Lo abbiamo visto ancora all’inizio di quest’anno con la chiusura della nuova inchiesta della procura generale di Bologna sui presunti mandanti, finanziatori e altri esecutori della strage del 2 agosto 1980: avvisi  di fine indagine sono stati indirizzati  a Paolo Bellini, ex Avanguardia Nazionale, ritenuto esecutore che avrebbe agito con i quattro estremisti già condannati (Fioravanti, Mambro, Ciavardini e Cavallini), a Licio Gelli (già condannato per depistaggio) e al suo braccio destro Umberto Ortolani (già accusato, ma poi prosciolto), banchiere e imprenditore, al potentissimo Umberto Federico D’Amato e a Mario Tedeschi, piduista, senatore di MSI e noto giornalista di destra che si sarebbe occupato della gestione mediatica della strage. Questi ultimi quattro sono tutti morti da tempo e la loro posizione sarà ovviamente archiviata.

La procura ha poi stabilito che sono coinvolti nella strage come depistatori l’ex generale del Sisde Quintino Spella, vivo ma ultranovantenne, Piergiorgio Segatel, ex carabiniere di Genova e Domenico Catracchia, amministratore di condominio che gestiva degli appartamenti in via Gradoli a Roma, che dovrà rispondere di false informazioni fornite ai pm al fine di sviare le indagini in corso. Poiché il reato di depistaggio fu introdotto nel codice penale italiano solo nel 2016 grazie alla lunghissima battaglia portata avanti dall’Associazione Vittime del 2 agosto, i fatti ascritti a questi ultimi tre indagati devono essere stati commessi di recente a conferma del fatto che esiste ancora un sistema che vuole far sì che determinati elementi non emergano e che determinate responsabilità rimangano occultate.

I risultati dell’ultima inchiesta mettono chiaramente in evidenza una cosa: la strage della Stazione di Bologna rientra a pieno titolo nel contesto più ampio della strategia della tensione. Dieci anni dopo ritroviamo gli stessi personaggi e le stesse organizzazioni: la loggia massonica P2, la stampa di destra come la rivista “Il borghese” che ha sempre sostenuto mediaticamente certe azioni, la presenza di Ordine Nuovo e di Avanguardia Nazionale.

Nulla di nuovo quindi, a conferma delle parole riportate nella sentenza del 22 luglio 2015 della Corte d’assise di Milano, confermata dalla Cassazione nel 2017, per la strage di piazza della Loggia a Brescia del 28 maggio 1974 che ha condannato all’ergastolo l’ex ordinovista Carlo Maria Maggi e l’ex fonte “Tritone” dei servizi segreti Maurizio Tramonte: “Tutte le stragi che hanno insanguinato l’Italia appartengono a un’unica matrice organizzativa”. In quelle sentenze l’intreccio di interessi e  protagonisti è molto ben delineato: ci settori delle forze armate, settori delle forze dell’ordine, buona parte dei carabinieri, settori della politica, della massoneria e dell’imprenditoria. C’è un importante partecipazione dei servizi segreti italiani e stranieri, soprattutto americani. E viene fatta luce sugli esecutori concreti degli attentati, che sono gli ambienti neofascisti e neonazisti di Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale e degli altri piccoli gruppi che ruotano attorno a loro.

Riannodare i fili del periodo più buio della nostra storia recente vuol dire sollecitare l’attenzione rispetto alle dinamiche reazionarie ancora ben presenti, oggi mascherate in partiti che, insieme a sovranisti e populisti, palesemente invocano orientamenti fascisti, razzisti, sessisti. Un importante lavoro in questo senso è il progetto www.memoriattiva.it ideato dal giornalista Andrea Palladino e dalla giornalista Antonella Barranca. Memoriattiva è un database avanzato che vuole raccogliere e rendere disponibile a tutti documentazione sulla destra radicale proveniente da diverse fonti, in particolare sentenze che riguardano il periodo della stagione delle stragi e documenti di istituti di ricerca.


Passeggiata in quartiere per l’ex caserma Mazzoni Bene Comune

Posted: Giugno 14th, 2020 | Author: | Filed under: Iniziative | Tags: , , , , | Commenti disabilitati su Passeggiata in quartiere per l’ex caserma Mazzoni Bene Comune

Domenica 21 giugno alle 10.30 ritrovo alla Lunetta Gamberini lato via degli Orti

Passeggiata in quartiere per percorrere il perimetro dell’ex caserma Mazzoni per rivendicare che non vogliamo altro cemento in città, ma alberi, zone verdi e servizi territoriali per tutt*.

 


Ex caserma Mazzoni: un progetto insostenibile

Posted: Maggio 31st, 2020 | Author: | Filed under: News | Tags: , , , | Commenti disabilitati su Ex caserma Mazzoni: un progetto insostenibile

195 nuovi appartamenti,  un centro direzionale commerciale, 20 appartamenti in social housing, una scuola secondaria, la trasformazione di via delle Armi a doppio senso, l’abbattimento di 101 alberi, il passaggio previsto di 1085 veicoli al giorno: questo è l’avveniristico progetto di riqualificazione dell’ex caserma Mazzoni pensato dallo Studio Tasca (lo stesso dell’altrettanto avveniristica e incompiuta Trilogia del Navile) e fatto proprio dall’amministrazione comunale.  La proprietà dell’area (“bene comune”) è ora di CDP Investment SGR che sta per Cassa Depositi  e Presiti – Società Gestione Risparmio.

I dati del 2019 parlano di 7000 appartamenti sfitti a Bologna, che salgono a 12.000 se si considera tutto il territorio provinciale: non c’è nessuna necessità, quindi, di nuovi alloggi; il progetto, fatto senza nessuna pianificazione urbana, intesa come lavoro di valutazione delle reali esigenze, è sostanzialmente un’enorme speculazione immobiliare, che non tiene minimamente conto del contesto in cui viene calata.

Tra le infinite parole sprecate per “vendere” il progetto, si dice tra l’altro che si tratta di una nuova opera architettonica, ma, se prendiamo per buona questa affermazione, a maggior ragione va recuperata la nozione di “contesto” come fatto culturale per la costruzione dell’architettura e l’idea di “relazione” che il progetto dovrebbe istituire con la realtà circostante in termini di modifica e di interazione.

L’aumento stratosferico di  mobilità privata, i nuovi  consumi energetici e di produzione di CO2 delle nuove torri di otto piani, le nuove sovraesposizioni di particolato atmosferico inquinante, non sono certo fattori di interazione con il contesto, bensì elementi di deturpazione ambientale e urbana, di aggravamento dell’inquinamento atmosferico e acustico, di nuovo consumo del suolo e di oggettivo aumento della rendita parassitaria fondiaria, fenomeno costitutivo del DNA della speculazione immobiliare.
Nessun punto di contatto quindi con quell’idea di urbanistica come capacità di porsi in relazione per comprendere, criticare e trasformare in “architettura” proprio il mondo reale delle cose, partendo dal recupero e dal riuso dell’esistente.

Ci viene in soccorso il sociologo urbanista Henri Lefebvre, che nel suo “Il diritto alla città” (Ombre Corte, 2014) ci ricorda come questo diritto corrisponda alla possibilità di sperimentare una vita urbana alternativa alle logiche di accumulazione del capitale. “Il diritto alla città si presenta come forma superiore dei diritti, come diritto alla libertà, all’individualizzazione nella socializzazione, all’habitat e all’abitare. Il diritto all’opera, cioè all’attività partecipante, e il diritto alla fruizione, ben diverso dal diritto alla proprietà, sono impliciti nel diritto alla città”. L’esercizio di tale diritto passa attraverso la rottura dei meccanismi di omologazione della vita quotidiana e una riappropriazione dei tempi e degli spazi del vivere urbano, che richiede una nuova configurazione delle relazioni sociali, politiche ed economiche. “Il nostro principale compito politico – scrive Lefebvre – consiste allora nell’immaginare e ricostruire un modello di città completamente diverso dall’orribile mostro che il capitale globale e urbano produce incessantemente”. Come definire se non mostruoso un piano che prevede l’edificazione di 94.000 mc di cemento armato, tutto in verticale, articolato in sette torri di otto piani ciascuna in uno spazio di quattro ettari, disboscato di un centinaio di alberi quasi secolari, di cui solo nove in cattive condizioni fitosanitarie?

Un’ultima riflessione riguarda i rischi di infiltrazioni mafiose nell’esecuzione del progetto. E’ noto con quale facilità la criminalità organizzata entri nelle realizzazioni edilizie attraverso i collaudati meccanismi dei subappalti e subaffidamenti di ogni genere e con subcontratti di forniture di materiali, attività di movimento terra, guardiania di cantiere e trasferimento in discarica dei materiali. Per la realizzazione del comparto è indubbio che occorrano ingenti capitali e fior fior di fidejussioni a garanzia: solo chi ha abbondanza di capitali da riciclare come le mafie potrebbe sedersi al tavolo dell’abbuffata, soprattutto in una fase di crisi economica come questa conseguente alla pandemia, che ha reso ancor più insostenibile il progetto.

L’ex caserma Mazzoni è un bene che appartiene alla collettività e alla collettività va restituito: vogliamo che ci sia il riutilizzo delle strutture esistenti per la creazione di servizi pubblici di quartiere, scolastici, civici e sanitari, che rappresentano la reale necessità sul territorio. Un esempio su tutti: il poliambulatorio Mazzacorati, unico presidio sanitario in zona, è ospitato da una struttura estremamente datata, inadatta a garantire oggi un’adeguata ed efficiente medicina territoriale. Vogliamo un’area verde pubblica, più alberi e piste ciclabili, zero cemento e nessun incremento del traffico in quartiere.

Quando la città si dissolve nella metamorfosi planetaria  (Henri Lefebvre)


Piazza della Loggia, 28 maggio 1974

Posted: Maggio 28th, 2020 | Author: | Filed under: News | Tags: , , , | Commenti disabilitati su Piazza della Loggia, 28 maggio 1974

Il Freccianera 5040, partito da Milano il 12 dicembre 1969 per arrivare a Bologna il 2 agosto 1980, ha fatto tappa a Brescia martedì 28 maggio 1974. Arrivo puntuale alle 10.12 in un cestino della spazzatura posizionato sotto gli archi di piazza della Loggia quand’era in corso una manifestazione indetta dal “Comitato permanente antifascista” per protestare contro una serie di episodi di violenza di matrice fascista avvenuti nella zona negli ultimi due anni.  Una potente esplosione lacera un cielo già plumbeo di pioggia: otto persone muoiono, più di cento rimangono ferite.

Nei primi mesi del 1974 l’atmosfera a Brescia, come in tutto il paese, non era per nulla serena, segnata dal clima pesante delle forti tensioni sociali. In città furono ritrovate diverse bombe di esplicita marca fascista e solo pochi giorni prima, nella notte tra il 18 e il 19 maggio, uno studente di estrema destra, Silvio Ferrari, era morto in seguito all’esplosione di un ordigno da lui stesso trasportato sul suo motorino, non è chiaro se per sua imprudenza, per un difetto tecnico dell’ordigno, o per precisa volontà di chi gliel’aveva consegnata. In quel mese di maggio, inoltre, Brescia era al centro dell’attenzione perché dal suo tribunale era partita l’inchiesta contro il MAR Movimento armato rivoluzionario di Carlo Fumagalli.  In quel periodo l’Italia era scossa dal susseguirsi degli attentati di matrice fascista a sugellare quella strategia eversiva volta a creare nella popolazione uno stato di tensione e paura tale da giustificare o addirittura auspicare svolte di tipo autoritario: 1970 strage di Gioia Tauro, 1972 strage di Peteano, 1973 strage alla Questura di Milano. Pochi  mesi dopo, nell’agosto 1974, sarebbe stata la volta della strage dell’Italicus.

Come per tutte le stragi fasciste che hanno insanguinato il nostro paese, anche per quella di piazza della Loggia subito dopo l’attentato ebbe inizio la danza dei depistaggi, aperta con un coup de théatre del vice questore Aniello Diamare che dispose il lavaggio della piazza da parte degli idranti dei vigili del fuoco per “evitare la vista del sangue e lo sgomento che tale spettacolo rinnova nei cittadini”. L’acqua lavò via ogni possibile indizio. Una sconcertante operazione di pulizia, che consentì ad Aniello Diamare la promozione a questore, e che aprì la lunga serie di circostanze che nel corso delle indagini hanno evidenziato il coinvolgimento dei servizi segreti e di apparati dello Stato nella vicenda.

La prima indagine avviata si concluse nel 1979 con la condanna di alcuni esponenti dell’estrema destra bresciana, ma nel 1982 nel giudizio di secondo grado le condanne vennero commutate in assoluzioni, che vennero a loro volta confermate nel 1985 dalla Corte di cassazione.
Nel 1984, a seguito delle rivelazioni di alcuni pentiti, si aprì un secondo filone di indagine contro alcuni rappresentanti della destra eversiva. Ma anche qui gli imputati furono assolti in primo grado per insufficienza di prove e prosciolti in appello con formula piena. Si aprì una terza istruttoria che rinviò a giudizio i sei imputati principali: Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Maurizio Tramonte (esponenti di spicco di Ordine Nuovo) Pino Rauti, Francesco Delfino e Giovanni Manfredi: nel 2010 la Corte d’Assise emise la sentenza di primo grado con cui assolveva tutti gli imputati, due anni dopo la sentenza venne confermata in appello. Nel 2014 la Corte di Cassazione annullò le assoluzioni di Maggi e Tramonte (ex fonte “Tritone” dei servizi segreti) contro cui venne aperto un nuovo processo d’appello che nel 2015 li condannò all’ergastolo, condanna definitivamente confermata dalla Cassazione nel 2017.

Dopo 43 anni, quindi, e sempre in maniera insufficiente per quanto riguarda il ruolo degli apparti dello Stato e dei servizi segreti italiani e statunitensi e della Nato, anche la magistratura stabilisce la matrice fascista della strage . “Tutte le stragi che hanno insanguinato l’Italia appartengono a un’unica matrice organizzativa”, si legge nella sentenza. Il che di fatto delinea perfettamente l’intreccio di interessi e  protagonisti delle stragi che hanno segnato la storia recente del nostro paese: ci sono settori delle forze armate, settori delle forze dell’ordine, buona parte dei carabinieri, settori della politica, della massoneria e dell’imprenditoria. C’è un importante partecipazione dei servizi segreti italiani e stranieri, soprattutto americani. E viene fatta luce sugli esecutori concreti degli attentati, che sono gli ambienti neofascisti e neonazisti di Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale e degli altri piccoli gruppi che ruotano attorno a loro.


Vietato chiedere elemosina!

Posted: Maggio 7th, 2020 | Author: | Filed under: News | Tags: , , , | Commenti disabilitati su Vietato chiedere elemosina!

La crisi in atto, legata alla pandemia, ha fatto emergere certamente nuove solidarietà e riattivato energie che, troppo spesso, negli ultimi anni parevano sopite. Però ha messo in luce anche l’inadeguatezza a gestire la situazione di tanti solerti funzionari, alla cui discrezione è stata lasciata l’applicazione di norme spesso confuse e poco chiare.

A pagare le conseguenze di una rigidità fuori luogo è stata ieri mattina una signora, solita sostare in via Murri dove chiede qualche spiccio e soprattutto qualcosa da mangiare. I vigili urbani la hanno multata perché stava “arrecando disturbo ai passanti, sedendosi per terra e occupando suolo pubblico”.

Mentre le aziende continuavano a produrre, facendosi beffe delle norme che imponevano la chiusura, anche quando il contagio ha toccato i picchi, divenendone luoghi di trasmissione, spesso, a essere colpiti da atteggiamenti repressivi sono stati gli ultimi, coloro che non avevano altro modo per sopravvivere se non uscire, nonostante i rischi. Come è accaduto ieri mattina.

Ringraziamo i compagni dell’associazione Ya Basta, che, grazie a un volontario delle “Staffette alimentari partigiane” che si trovava a passare, hanno denunciato e fotografato l’episodio, perché sono fatti come questo che mettono a rischio e potrebbero vanificare il lavoro di tanti solidali, che si sono attivati in città per aiutare chi, più di altri, sta pagando le conseguenze della crisi in atto.

Abusi e azioni repressive non solo sono inutili, ma portano alla costruzione di una società autoritaria che disprezza i più deboli. E noi, a questo modello di società, ci opporremo sempre. Anche denunciando episodi come questo.


Portella della Ginestra fu una strage di Stato

Posted: Maggio 1st, 2020 | Author: | Filed under: News | Tags: , , , , , , | Commenti disabilitati su Portella della Ginestra fu una strage di Stato

Il 1° maggio 1947 una folla di contadini, donne, uomini, bambini, anziani si riunì a Portella della Ginestra per manifestare contro il latifondismo e festeggiare la Festa dei Lavoratori, la prima che si tornava a festeggiare in quella data dopo che il partito fascista ne aveva spostato la ricorrenza al 21 aprile. In Sicilia il Blocco del Popolo, un’alleanza tra socialisti e comunisti, aveva da poco vinto le elezioni regionali. All’improvviso diverse raffiche di mitra raggiunsero la folla, uccidendo 11 persone e ferendone 27.
Le prime indagini si concentrarono sulla mafia e portarono all’arresto di centinaia di mafiosi. Le cose cambiarono quando passarono nelle mani di un ex repubblichino di Salò richiamato in servizio. I mafiosi furono rimessi in libertà. La Corte d’Appello di Palermo rinviò contemporaneamente a giudizio i componenti della banda di Salvatore Giuliano, scagionando la mafia. Fu il primo risultato di un patto fra mafia e istituzioni con lo scopo di destabilizzare il nuovo equilibrio politico della regione, rovesciare la neonata Repubblica e instaurare un nuovo governo autoritario.

E’ la prima di una lunga serie di stragi con esecutori individuati e mandanti ancora ignoti.

Sono sicura che c’era chi quel giorno sapeva quello che sarebbe accaduto, infatti mentre salivamo in festa un signore ci disse: “State salendo cantando e scenderete piangendo”. (testimonianza di Concetta Moschetto).
Così, agli uomini, si presenta il destino: con voce che accusa chi è stato ucciso.
Il destino lo chiamano in causa coloro che non vogliono sia dato un nome agli assassini.
A Portella non fu destino. Fu omicidio premeditato. Come lo sarà per le stragi che seguiranno.
Loriano Macchiavelli, Noi che gridammo al vento, Einaudi, 2015, pag. 315

Il 2 agosto 2017 organizzammo con il Nodo Sociale Antifascista il reading La strategia delle stragi non è mai finita per riannodare alcuni fili della memoria mettendo in evidenza la connessioni tra “trame nere”, mafia e apparati dello Stato: Portella della Ginestra, Piazza Fontana, Italicus, omicidio di Fausto e Iaio, 2 agosto e Uno Bianca.

Qui l’audio della serata con il contributo, tra gli altri,  di Loriano Macchiavelli