Quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa dovere

50-40 Freccianera. Da piazza Fontana alla stazione di Bologna: la stagione delle stragi di stato

Posted: Giugno 29th, 2020 | Author: | Filed under: News | Tags: , , , , , , , | Commenti disabilitati su 50-40 Freccianera. Da piazza Fontana alla stazione di Bologna: la stagione delle stragi di stato

Riportiamo un nostro articolo pubblicato sul numero di giugno della rivista Malamente (https://malamente.info/)

Il 12 dicembre 1969, 50 anni orsono, la bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana apriva una stagione di attentati di mano fascista, che culminava il 2 agosto 1980 con la strage della Stazione di Bologna di cui ricorre quest’anno il quarantennale. Un disegno stragista che ha attraversato l’intero paese fermando le lotte di studenti e operai, progettato per seminare disordine e terrore ed evocare sbocchi di tipo autoritario il cui principale attore fu lo Stato: mandante delle stragi, autore dei depistaggi, responsabile degli insabbiamenti della verità.

A Bologna abbiamo cercato di costruire un percorso  per ripercorrere, attraverso iniziative di approfondimento,  la narrazione di quel decennio per sottrarlo alla vuota retorica, alle falsificazioni, all’oblio, nella consapevolezza che le trame neofasciste e neonaziste non mancano ancora oggi di trovare appoggi per inquinare pericolosamente la vita del paese. Abbiamo chiamato questo percorso  50-40 Freccianera mettendo insieme i due anniversari, i 50 anni da Piazza Fontana e i 40 dal massacro della stazione di Bologna e richiamando le bombe sui treni che hanno punteggiato il periodo 1969-1984, dai primi attentati ferroviari dell’estate 1969 (voluti per preparare il terreno e aprire la strada a Piazza Fontana) alla strage del rapido 904 in località S. Benedetto Val di Sambro del 1984.

Di fronte a verità emerse sul piano storico, ma mai fino in fondo sancite su quello giudiziario, si pone la necessità di riannodare i fili della memoria per far capire, specie ai più giovani, cosa accadde davvero e quale eredità quelle vicende consegnino al presente.

Sulla bomba che esplose alle 16.37 del 12 dicembre 1969 stroncando la vita a 17 persone e lacerandola ad altre 88 conosciamo quasi tutto, ma le prove che avrebbero dovuto inchiodare i responsabili sono arrivate sempre dopo le sentenze delle decine di processi che si sono svolti e nessuno mai ha pagato il conto.

Non l’hanno fatto i neofascisti di Ordine Nuovo  e Avanguardia Nazionale Freda, Ventura, Maggi, Zorzi, Digilio… ideatori e sviluppatori del programma stragista per dare una svolta in senso autoritario alla vita politica del paese per un lunghissimo decennio, agito in simbiosi con una rete di neofascismo internazionale e con gli apparati dei servizi segreti italiani e internazionali, con in prima fila quelli americani.

Non l’ha fatto Umberto Federico D’Amato, piduista, capo dell’Ufficio Affari Riservati del Viminale, organizzatore della strage di piazza Fontana, elemento centrale dei servizi segreti italiani nella stagione delle stragi, da quella del 12 dicembre 1969 a quella del 2 agosto 1980, delle quali figura tra i principali mandanti e responsabili e sul cui curriculum vale la pena spendere due parole perché esemplare di come la strategia delle stragi sia stata concepita e realizzata dai vertici dei servizi segreti a disposizione dello Stato.

Umberto Federico D’Amato

Nato a Marsiglia nel 1919, figlio di un collaboratore dell’Ovra, D’Amato entra in servizio al Ministero dell’interno il 1 agosto 1943. Nel 1944 convince i principali esponenti della polizia segreta fascista e della Repubblica di Salò a cambiare bandiera, legandosi all’Oos (poi Cia) guidata da James Angleton, portando a termine, tra l’altro, il salvataggio di Junio Valerio Borghese, l’uomo militarmente più potente della Repubblica di Salò e capo della X Mas.

Capo dell’Ufficio politico della questura di Roma dal 1950, dal 1960 D’Amato passa all’Ufficio affari riservati del Ministero dell’interno, di cui assume la vicedirezione nel 1969 e la direzione nel 1971. L’Ufficio affari riservati nasce nel 1948 sulle ceneri della vecchia Divisione affari generali e riservati che operava sotto il fascismo per coordinare le attività delle questure; sotto Tambroni diventa una polizia parallela al servizio del Ministero degli interni. Nel 1963 Paolo Emilio Taviani, principale referente politico di Gladio e Stay Behind, ne avvia la ristrutturazione, aumentandone le funzioni e le competenze. D’Amato ha il compito di coordinare le squadre periferiche che sono attive in diverse città italiane e che gestiscono informatori disseminati in varie formazioni politiche (movimenti extraparlamentari compresi) e giornalistiche. È lui, da quegli anni, il cardine e il capo di quello che diventa un vero e proprio Ufficio stragi, sciolto ufficialmente nel 1974 dal ministro Taviani, dopo la strage di Piazza della Loggia a Brescia.

D’Amato, grazie ai buoni rapporti con i vertici della Cia, nel frattempo è diventato anche capo delle delegazione italiana presso il Comitato di sicurezza della Nato (una struttura che riunisce i principali servizi di sicurezza dei paesi Nato) e nel 1965 è tra i fondatori di un organismo informale, poi denominato Club di Berna, che coordina le polizie europee, col risultato che egli è il maggiore referente sia dei servizi di informazione o sicurezza più o meno segreti sia delle informative e delle attività delle forze di polizia.

Dopo lo scioglimento dell’Ufficio nel 1974, D’Amato è trasferito alla direzione della polizia stradale, ferroviaria, postale e di frontiera, continuando a svolgere attività di intelligence. Iscritto alla loggia P2 con tessera n. 1643, appartiene al gruppo centrale della loggia raggiungendo il grado terzo (“maestro”). Collocato in pensione nel 1984, continua la sua collaborazione col mondo giornalistico (tiene una rubrica di gastronomia per L’espresso), per morire a 77 anni il 1 agosto 1996.

Umberto Federico D’Amato ha avuto uno smisurato potere grazie anche ai suoi rapporti con la Cia e con i servizi europei, con i capi dei vari servizi di informazione italiani, militari e non, con fascisti e golpisti di ogni risma. La sua posizione economica, depositata in banche svizzere e francesi, è definita da Licio Gelli “rilevantissima” ed è sostenuta da versamenti americani.

Al pari di D’Amato, non hanno mai pagato il conto gli uomini del Sid, il Servizio Informazioni della difesa, a cominciare dal generale Gianadelio Maletti, fuggito in Sudafrica, a Guido Giannettini e Vito Miceli, che, con la collaborazione dell’esercito e dell’Arma dei Carabinieri, ebbero piena conoscenza di quanto stava succedendo e si diedero da fare per depistare le indagini e proteggere i responsabili.

Da piazza Fontana alla stazione di Bologna le indagini della magistratura si sono sempre scontrate contro qualcuno che alterava, affermava il falso, negava il vero o taceva. I servizi segreti, che “deviati” non erano, hanno agito come una vera e propria agenzia di depistaggio delle indagini giudiziarie rispetto a tutta la stagione delle bombe.  Il filo nero dei depistaggi è ben tracciato nel libro Depistaggi. Da piazza Fontana alla Stazione di Bologna (Castelvecchi 2018), di cui abbiamo incontrato alcuni autori nel corso di una serata in cui è emerso chiaramente come la pratica del depistaggio e della menzogna all’interno degli organismi dello Stato ha funzionato – e continua a funzionare – per condizionare l’esito delle indagini e fornire false ricostruzioni.

Lo abbiamo visto ancora all’inizio di quest’anno con la chiusura della nuova inchiesta della procura generale di Bologna sui presunti mandanti, finanziatori e altri esecutori della strage del 2 agosto 1980: avvisi  di fine indagine sono stati indirizzati  a Paolo Bellini, ex Avanguardia Nazionale, ritenuto esecutore che avrebbe agito con i quattro estremisti già condannati (Fioravanti, Mambro, Ciavardini e Cavallini), a Licio Gelli (già condannato per depistaggio) e al suo braccio destro Umberto Ortolani (già accusato, ma poi prosciolto), banchiere e imprenditore, al potentissimo Umberto Federico D’Amato e a Mario Tedeschi, piduista, senatore di MSI e noto giornalista di destra che si sarebbe occupato della gestione mediatica della strage. Questi ultimi quattro sono tutti morti da tempo e la loro posizione sarà ovviamente archiviata.

La procura ha poi stabilito che sono coinvolti nella strage come depistatori l’ex generale del Sisde Quintino Spella, vivo ma ultranovantenne, Piergiorgio Segatel, ex carabiniere di Genova e Domenico Catracchia, amministratore di condominio che gestiva degli appartamenti in via Gradoli a Roma, che dovrà rispondere di false informazioni fornite ai pm al fine di sviare le indagini in corso. Poiché il reato di depistaggio fu introdotto nel codice penale italiano solo nel 2016 grazie alla lunghissima battaglia portata avanti dall’Associazione Vittime del 2 agosto, i fatti ascritti a questi ultimi tre indagati devono essere stati commessi di recente a conferma del fatto che esiste ancora un sistema che vuole far sì che determinati elementi non emergano e che determinate responsabilità rimangano occultate.

I risultati dell’ultima inchiesta mettono chiaramente in evidenza una cosa: la strage della Stazione di Bologna rientra a pieno titolo nel contesto più ampio della strategia della tensione. Dieci anni dopo ritroviamo gli stessi personaggi e le stesse organizzazioni: la loggia massonica P2, la stampa di destra come la rivista “Il borghese” che ha sempre sostenuto mediaticamente certe azioni, la presenza di Ordine Nuovo e di Avanguardia Nazionale.

Nulla di nuovo quindi, a conferma delle parole riportate nella sentenza del 22 luglio 2015 della Corte d’assise di Milano, confermata dalla Cassazione nel 2017, per la strage di piazza della Loggia a Brescia del 28 maggio 1974 che ha condannato all’ergastolo l’ex ordinovista Carlo Maria Maggi e l’ex fonte “Tritone” dei servizi segreti Maurizio Tramonte: “Tutte le stragi che hanno insanguinato l’Italia appartengono a un’unica matrice organizzativa”. In quelle sentenze l’intreccio di interessi e  protagonisti è molto ben delineato: ci settori delle forze armate, settori delle forze dell’ordine, buona parte dei carabinieri, settori della politica, della massoneria e dell’imprenditoria. C’è un importante partecipazione dei servizi segreti italiani e stranieri, soprattutto americani. E viene fatta luce sugli esecutori concreti degli attentati, che sono gli ambienti neofascisti e neonazisti di Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale e degli altri piccoli gruppi che ruotano attorno a loro.

Riannodare i fili del periodo più buio della nostra storia recente vuol dire sollecitare l’attenzione rispetto alle dinamiche reazionarie ancora ben presenti, oggi mascherate in partiti che, insieme a sovranisti e populisti, palesemente invocano orientamenti fascisti, razzisti, sessisti. Un importante lavoro in questo senso è il progetto www.memoriattiva.it ideato dal giornalista Andrea Palladino e dalla giornalista Antonella Barranca. Memoriattiva è un database avanzato che vuole raccogliere e rendere disponibile a tutti documentazione sulla destra radicale proveniente da diverse fonti, in particolare sentenze che riguardano il periodo della stagione delle stragi e documenti di istituti di ricerca.