Quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa dovere

Dossier Bologna. I mandanti della strage – Intervista ad Antonella Beccaria

Posted: Luglio 28th, 2020 | Author: | Filed under: News | Tags: , , , , , | Commenti disabilitati su Dossier Bologna. I mandanti della strage – Intervista ad Antonella Beccaria

Nel 2020 saranno trascorsi quarant’anni dal 2 agosto 1980. Quel giorno, alle 10.25, esplode alla stazione di Bologna un ordigno di quasi 25 chilogrammi occultato in una valigia. La deflagrazione avviene nella sala d’aspetto di seconda classe un sabato mattina mentre la stazione è affollata di turisti italiani e stranieri, lavoratori e persone comuni che semplicemente sono in attesa di un treno. È un massacro, il più grave compiuto nell’Europa del dopoguerra fino a quel momento, con 85 persone che perdono la vita e 215 che restano ferite. Il libro ricostruisce quel momento cruciale della storia recente e rappresenta un viaggio nel tempo tra il prima e il dopo, scandagliando gli anni della strategia della tensione attraversati da terrorismo neofascista, tentativi di golpe, gruppi paramilitari, contatti con la criminalità organizzata e depistaggi. Il tutto calato in un contesto di scontro tra i blocchi che trasforma la guerra fredda in una guerra sporca che è proseguita, arrivando ad assumere nuove forme nella stagione stragista degli anni Novanta.

Abbiamo intervistato Antonella Beccaria, giornalista e saggista, autrice di numerosi libri sulla strategia della tensione

 “Dossier Bologna. 2 agosto i mandanti della strage” è il tuo libro uscito proprio in questi giorni. Cosa c’è di nuovo rispetto ai mandanti della strage della stazione di Bologna?

Il libro ricostruisce il prima e il dopo sui mandanti della strage del 2 agosto. Sulla figura di Paolo Bellini, per esempio, si racconta tutta l’inchiesta precedente, quella finita con un suo proscioglimento nel 1992. In tanti  negano che Bellini sia un estremista di destra, lo ha fatto lo stesso Bellini a lungo e poi ha smesso.  Invece Bellini ha un passato in Avanguardia Nazionale, la formazione di Delle Chiaie, che probabilmente, come lui sostiene, non lo conosce direttamente. Ma quegli ambienti, soprattutto quelli che ruotavano attorno a Massa Carrara, sono molto importanti per la formazione e la militanza  politica di Bellini, quelli di Massa Carrara e poi quelli di Parma. Parma è stato un centro aggregatore, soprattutto attraverso il suo ateneo, di elementi neofascisti italiani. Ripercorrendo  le immatricolazioni possiamo trovare elementi che arrivano dall’esperienza ordinovista, personaggi che ritroveremo nella strage di piazza della Loggia o in vicende come l’omicidio di Mariano Lupo, un militante di sinistra assassinato a Parma il 25 agosto 1972. Parma è un punto nevralgico.

Nel racconto che Bellini fa del 2 agosto 1980, in cui si costruisce un alibi, parte proprio dalla provincia di Parma, da Fidenza, dice di essere stato con il fratello Guido – che morirà di cancro nell’aprile 1982 continuando però a seguire quasi fino alla fine dei suoi giorni le vicende del fratello -, sostiene di essere arrivato a Rimini intorno alle nove del mattino e, insieme alla moglie, ai figli piccoli e alla nipote, figlia di Guido, di essere andato in vacanza al Tonale.
Di fatto esistono delle registrazioni  di Bellini, che a quel tempo usava il nome falso Roberto Da Silva, e della moglie, ma sono le ultime della giornata per cui sicuramente  non arrivano prima delle 19 al passo del Tonale.
La figura di Bellini ci apre poi uno squarcio molto interessante su un mondo particolare che era quello degli antiquari e più nello specifico degli antiquari italiani che vivevano a Londra. Ci sono personaggi a cui viene affittata casa, che ricevono aiuti o che sono in rapporti commerciali con soggetti come Hopkins, il primo datore di lavoro di Roberto Fiore, oggi leader di Forza Nuova, ai tempi uno dei leader di Terza Posizione fuoriuscito dall’Italia dopo la strage e dopo i mandati di cattura che vengono spiccati a fine dell’agosto 1980.

Nell’ambiente di questi antiquari londinesi c’è un personaggio che si chiama Marco Ceruti, un altro italiano, fiorentino, che dichiara di avere un ristorante molto noto, ma quando verranno fatte le verifiche in commissione P2 non risulteranno documenti che ne attestino la titolarità. Marco Ceruti incontrava l’allora vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura di cui sosteneva di essere amico, ma soprattutto è l’intestatario di un paio di conti correnti a cui affluiscono i soldi tracciati nel “conto Bologna”, così chiamato perché sono i foglietti  trovati tra la valigetta e le tasche degli indumenti di Licio Gelli quando viene arrestato nel settembre 1982 a Ginevra mentre sta per entrare nella filiale locale della banca UBS. Tra quelli che ha fisicamente addosso c’è il cosiddetto “documento Bologna”, che ha un’intestazione su cui c’è scritto proprio “Bologna” seguito da un numero di conto corrente. Il “documento Bologna” è sostanzialmente una contabile in parte manoscritta che dà una serie di riferimenti a movimentazioni bancarie che conducono come destinazione finale a beneficiari che nel 1980 erano sicuramente misteriosi. Abbiamo per esempio Dif Milano, Zaf Zafferano (Federico Umberto D’Amato), Artic. Tedeschi. Questo documento, che negli anni 80  non verrà mai trasmesso alla Procura della Repubblica di Bologna, verrà acquisito agli atti per il crac del Banco Ambrosiano. In base all’interpolazione con una serie di documenti trovati a Castiglion Fibocchi nella famosa perquisizione del 17 marzo 1981  presso  la sede dell’azienda di Licio Gelli, La Giole , dove vengono trovate le liste degli iscritti alla P2, ricostruiamo tutta una serie di movimenti bancari per una decina di milioni di dollari in parte affluiti sui conti di Marco Ceruti, definito un factotum di Licio Gelli. Nell’ipotesi attuale della Procura generale di Bologna quelli sarebbero i soldi della strage, con cui la si prepara e poi svengono saldate le competenze di chi ha agito materialmente. Sono movimenti bancari che raccontano una storia che parte nel febbraio del 1979 e arriva agli inizi di marzo 1981, un po’ prima rispetto alla perquisizione che porta alla scoperta della P2. Questo di per sé è già interessante: c’è un filo conduttore.

Il libro in qualche modo, quasi capitolo dopo capitolo, passa il testimone, con un personaggio che lo porta a un altro, che lo porta a un altro, che lo porta a un altro… Ne viene fuori una grande rete, che dovrà essere integrata in base alle indagini della Procura generale e agli eventuali processi che si dovessero celebrare. Si tratta di una rete che comprende una manovalanza neofascista di rango più o meno elevato e uomini dei servizi segreti. Tanto si è parlato del SISMI, che ha depistato – e ci sono delle condanne passate in giudicato per i depistaggi e in particolare per l’operazione “Terrore sui treni” – ma anche il SISDE ha un ruolo molto pesante che farà ipotizzare che un delitto eccellente nel mondo del neofascismo italiano di quegli anni, l’omicidio di Francesco Mangiameli avvenuto il 9 settembre 1980, sia stato, non dico deciso e voluto, ma in qualche modo favorito da determinate pratiche e attività messe in atto materialmente da un ufficiale condannato allora in primo grado a cinque anni e poi assolto in via definitiva per le attività cospirative della Rosa dei Venti, uno degli eventi golpisti che hanno caratterizzato questo paese.

Le cose che dici mi fanno venire in mente prima di tutto una considerazione e poi un’altra domanda. La considerazione è quanto è centrale Londra nella storia del neofascismo italiano dagli anni 70 fino a oggi,  come ci ha raccontato Andrea Palladino nella intervista che ci ha rilasciato a proposito del Virus Nero. Londra è un po’ un trait d’union dove i neofascisti si sono trovati sempre abbastanza bene, abbastanza a casa…

Sì, sicuramente è un vivaio molto importante, per quello che ho potuto appurare io ci sono queste connivenze strane. Nel libro ho intervistato Carlo Calvi, il figlio di Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano, è certo – e nel libro sono riportati i termini  molto chiari – che determinati personaggi legati alla strage di Bologna siano passati da Londra e appunto dagli ambienti che facevano riferimento agli antiquari di cui parlavo prima. Nel libro racconto di un omicidio che avviene nel settembre 1982, due anni abbondanti dopo la strage e circa a tre mesi dalla morte di Roberto Calvi, trovato impiccato sotto il ponte dei Frati Neri la mattina del 18 giugno 1982, un delitto a lungo fatto passare come un suicidio, di fatto oggi possiamo dire che si è trattato di un suicidio simulato, Calvi è stato prima strangolato e poi appeso a quel ponte. Ecco, tre mesi circa dopo quel delitto nell’ambiente degli antiquari londinesi avviene un omicidio assolutamente efferato nelle modalità, con un dispiego di violenza che lascia allibiti anche in confronto ai delitti consumati nel mondo della criminalità organizzata.
Viene assassinato questo antiquario italiano, Sergio Vaccari, e Carlo Calvi nel corso dell’intervista che mi ha rilasciato, ma che aveva anche già detto in altre sedi e in un memoriale inviato alla Procura generale di Bologna, dice che Vaccari nelle ultime settimane di vita era spaventato perché aveva saputo che nel loro ambiente circolavano persone coinvolte con la strage di Bologna. Noi non sappiamo i nomi di queste persone, ma è molto probabile che il mondo del neofascismo londinese che accoglieva i latitanti italiani sia stato attraversato da persone coinvolte nel massacro del 1980.

… che accoglieva e che accoglie tuttora perché Roberto Fiore si ritrova a Londra e dice chiedete a Dio come ho fatto ad arrivare fino qua e a essere intoccato.
L’altra domanda che ti volevo fare invece è sui documenti che riguardano Licio Gelli, usciti recentemente su L’Espresso online il 23 luglio. Cosa ci puoi dire di quei documenti, che idea ti sei fatta, cosa ci dicono?

I documenti pubblicati online sono il “documento Bologna” di cui abbiamo parlato prima. C’è anche un documento ritrovato a Castiglion Fibocchi, interessante perché Gelli lascia un appunto a una sua collaboratrice di dare un acconto a un personaggio che si sarebbe presentato. Gelli parla di piccolo acconto, la cifra complessiva sono cinque milioni di dollari, in questo acconto scrive mille. In realtà l’ipotesi più probabile, per quanto lo chiami piccolo acconto, è che si tratti di un milione di dollari. Dà anche una descrizione piuttosto suggestiva di chi è questa persona che lui definisce un “cap.“, in ipotesi un capitano, quindi una persona appartenente al mondo militare, ma non ne abbiamo certezza. Lo definisce piccolo, biondo, con origini e accento meridionale, con il naso grosso e con una cicatrice vistosa che gli deturpa la faccia. Per un attimo è sembrato che potesse richiamare un personaggio che agli annali delle cronache giornalistiche e giudiziarie in Italia è stato chiamato “Faccia da mostro”, Giovanni Aiello, ex poliziotto poi probabilmente reclutato nei servizi segreti il cui nome – per quanto in vita non sia mai stato condannato – è legato alle stragi del 92 e del 93, al delitto di Nino Agostino, il poliziotto ucciso il 5 agosto 1989 insieme alla moglie Ida Castelluccio e all’omicidio di Claudio Domino, un bambino siciliano. Di fatto la descrizione che Gelli dà alla sua referente svizzera riporta una cicatrice sulla parte del volto sbagliata rispetto a dove Aiello era deturpato. Andando ad analizzare è improbabile che “Faccia da mostro” sia anche colui che va a riscuotere il denaro in Svizzera, rimane la particolarità molto importante. La referente svizzera interrogata per rogatoria dai magistrati della Procura generale di Bologna non ha riconosciuto Aiello tra le fotografie che le vengono mostrate.

Dopo tutto quello di cui ti sei occupata nell’ambito della strategia della tensione, che idea ti sei fatta di questo 2 agosto “strano”, sarà la prima volta in quarant’anni in cui non ci sarà il corteo.

E’ molto triste, come lo è stato per l’anniversario di Brescia il 28 maggio, erano 46 anni. Sta di fatto che la cosa positiva è che l’attivismo su Brescia di Manlio Milani e su Bologna di Paolo Bolognesi tiene molto viva la memoria e la partecipazione delle istituzioni, penso in primis alla Regione Emilia-Romagna, e ha consentito di creare online, sia attraverso siti dedicati che sui social, una presenza pluriquotidiana per cui chi è sensibile a certi argomenti si trova tutti i giorni, più volte al giorno, post che ricordano la strage di Bologna. E’ un  momento strano anche perché è un momento pieno di attesa questo, paradossale dopo quarant’anni, perché l’autunno, se non dovessero esserci nuovi lockdown e il blocco delle attività giudiziarie non strettamente urgenti,  potrebbe portare a discutere e a celebrare l’udienza preliminare a carico di Bellini e degli altri tre per i quali la Procura generale ha richiesto il rinvio a giudizio. Nel caso il GUP di Bologna rilevi la possibilità che queste persone vengano processate il 2021 si potrà aprire con il nuovo processo. Da un lato abbiamo la tristezza, anche se forse è il termine sbagliato, lo sbigottimento verso le modalità di celebrazione dell’anniversario della strage, dall’altro abbiamo una forte speranza che si possano in sede giudiziaria ottenere delle nuove verità che si aggiungono a tutto quello che sappiamo, perché tutto quello che sta accadendo in questo periodo non è in contrasto con le condanne definitive a carico dei NAR, la condanna in primo grado al quarto uomo dei NAR e le condanne di Gelli, Pazienza e dei due dei servizi, Belmonte e Musumeci, già condannati per i depistaggi.

Un’ultima domanda: cosa è uscito dal processo a carico di Gilberto Cavallini che si è chiuso all’inizio di quest’anno?

Per il processo Cavallini attendevamo le motivazioni entro il 9 luglio, poi c’è stata una proroga determinata dall’emergenza sanitaria, per cui arriveranno a inizio settembre e lì si potrà veramente fare un punto sulle responsabilità attribuite a Cavallini. Non è un giudizio definitivo, è un giudizio di primo grado, ma già si potranno trarre delle conclusioni. Secondo me al di là degli elementi che hanno pesato sul condannare all’ergastolo Cavallini c’è un dato importante: il ruolo irrinunciabile di Ordine Nuovo. Non siamo di fronte a una strage commessa dal cosiddetto spontaneismo armato, cioè persone di dieci quindici anni più giovani rispetto alla precedente generazione stragista, mi riferisco a quelli di piazza Fontana e di piazza della Loggia, ma è emerso un elemento importante. Il presidente della Corte d’Assise Michele Leoni ha disposto una nuova perizia esplosivistica che ha dato un elemento in più. Quell’esplosivo era di derivazione militare americana, comunque utilizzato dagli Alleati durante il secondo conflitto bellico e veniva ripescato nei laghi del Nord Italia. Questa è una pratica di Ordine Nuovo. Se andiamo a guardare le carte di piazza Fontana numerosi sono gli episodi di ripescaggio di esplosivo non solo dai laghi, ma anche dall’alto Adriatico, per cui la strage di Bologna non è una strage NAR.  I NAR sono stati la manovalanza,  ma dietro c’era un’organizzazione come quella di Ordine Nuovo che per quanto disciolto a fine del 1973 continuava ad operare sotto altre sigle e sotto altri ombrelli e che torna prepotentemente anche come ombra sulla strage di Bologna.


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