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Ex caserma Mazzoni: un progetto insostenibile

Posted: Maggio 31st, 2020 | Author: | Filed under: News | Tags: , , , | Commenti disabilitati su Ex caserma Mazzoni: un progetto insostenibile

195 nuovi appartamenti,  un centro direzionale commerciale, 20 appartamenti in social housing, una scuola secondaria, la trasformazione di via delle Armi a doppio senso, l’abbattimento di 101 alberi, il passaggio previsto di 1085 veicoli al giorno: questo è l’avveniristico progetto di riqualificazione dell’ex caserma Mazzoni pensato dallo Studio Tasca (lo stesso dell’altrettanto avveniristica e incompiuta Trilogia del Navile) e fatto proprio dall’amministrazione comunale.  La proprietà dell’area (“bene comune”) è ora di CDP Investment SGR che sta per Cassa Depositi  e Presiti – Società Gestione Risparmio.

I dati del 2019 parlano di 7000 appartamenti sfitti a Bologna, che salgono a 12.000 se si considera tutto il territorio provinciale: non c’è nessuna necessità, quindi, di nuovi alloggi; il progetto, fatto senza nessuna pianificazione urbana, intesa come lavoro di valutazione delle reali esigenze, è sostanzialmente un’enorme speculazione immobiliare, che non tiene minimamente conto del contesto in cui viene calata.

Tra le infinite parole sprecate per “vendere” il progetto, si dice tra l’altro che si tratta di una nuova opera architettonica, ma, se prendiamo per buona questa affermazione, a maggior ragione va recuperata la nozione di “contesto” come fatto culturale per la costruzione dell’architettura e l’idea di “relazione” che il progetto dovrebbe istituire con la realtà circostante in termini di modifica e di interazione.

L’aumento stratosferico di  mobilità privata, i nuovi  consumi energetici e di produzione di CO2 delle nuove torri di otto piani, le nuove sovraesposizioni di particolato atmosferico inquinante, non sono certo fattori di interazione con il contesto, bensì elementi di deturpazione ambientale e urbana, di aggravamento dell’inquinamento atmosferico e acustico, di nuovo consumo del suolo e di oggettivo aumento della rendita parassitaria fondiaria, fenomeno costitutivo del DNA della speculazione immobiliare.
Nessun punto di contatto quindi con quell’idea di urbanistica come capacità di porsi in relazione per comprendere, criticare e trasformare in “architettura” proprio il mondo reale delle cose, partendo dal recupero e dal riuso dell’esistente.

Ci viene in soccorso il sociologo urbanista Henri Lefebvre, che nel suo “Il diritto alla città” (Ombre Corte, 2014) ci ricorda come questo diritto corrisponda alla possibilità di sperimentare una vita urbana alternativa alle logiche di accumulazione del capitale. “Il diritto alla città si presenta come forma superiore dei diritti, come diritto alla libertà, all’individualizzazione nella socializzazione, all’habitat e all’abitare. Il diritto all’opera, cioè all’attività partecipante, e il diritto alla fruizione, ben diverso dal diritto alla proprietà, sono impliciti nel diritto alla città”. L’esercizio di tale diritto passa attraverso la rottura dei meccanismi di omologazione della vita quotidiana e una riappropriazione dei tempi e degli spazi del vivere urbano, che richiede una nuova configurazione delle relazioni sociali, politiche ed economiche. “Il nostro principale compito politico – scrive Lefebvre – consiste allora nell’immaginare e ricostruire un modello di città completamente diverso dall’orribile mostro che il capitale globale e urbano produce incessantemente”. Come definire se non mostruoso un piano che prevede l’edificazione di 94.000 mc di cemento armato, tutto in verticale, articolato in sette torri di otto piani ciascuna in uno spazio di quattro ettari, disboscato di un centinaio di alberi quasi secolari, di cui solo nove in cattive condizioni fitosanitarie?

Un’ultima riflessione riguarda i rischi di infiltrazioni mafiose nell’esecuzione del progetto. E’ noto con quale facilità la criminalità organizzata entri nelle realizzazioni edilizie attraverso i collaudati meccanismi dei subappalti e subaffidamenti di ogni genere e con subcontratti di forniture di materiali, attività di movimento terra, guardiania di cantiere e trasferimento in discarica dei materiali. Per la realizzazione del comparto è indubbio che occorrano ingenti capitali e fior fior di fidejussioni a garanzia: solo chi ha abbondanza di capitali da riciclare come le mafie potrebbe sedersi al tavolo dell’abbuffata, soprattutto in una fase di crisi economica come questa conseguente alla pandemia, che ha reso ancor più insostenibile il progetto.

L’ex caserma Mazzoni è un bene che appartiene alla collettività e alla collettività va restituito: vogliamo che ci sia il riutilizzo delle strutture esistenti per la creazione di servizi pubblici di quartiere, scolastici, civici e sanitari, che rappresentano la reale necessità sul territorio. Un esempio su tutti: il poliambulatorio Mazzacorati, unico presidio sanitario in zona, è ospitato da una struttura estremamente datata, inadatta a garantire oggi un’adeguata ed efficiente medicina territoriale. Vogliamo un’area verde pubblica, più alberi e piste ciclabili, zero cemento e nessun incremento del traffico in quartiere.

Quando la città si dissolve nella metamorfosi planetaria  (Henri Lefebvre)


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